Una serata per coniugare il tema dei diritti dei lavoratori con quello dei futuri possibili delle nuove generazioni: nel primo incontro del 2020, che è stato anche uno dei momenti formativi per gli studenti del Progetto Giovani, sono stati ospiti Vincenza Pellegrino, professoressa associata di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso l’Università di Parma, dove insegna Politiche Sociali e Sociologia della Globalizzazione e Aboubakar Soumahoro, attivista sindacale sociale che difende i diritti di tutti i lavoratori, arrivato dalla Costa d’Avorio più di vent’anni fa, laureato in sociologia.

Soumahoro ha preso spunto dal suo libro, Umanità in rivolta. La nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità, per parlare di diritti e di sfruttamento dei lavoratori. “Forse dietro i mestieri che gli italiani non vogliono più fare si nasconde il degrado delle condizioni generali di lavoro, che chi arriva in Italia sprovvisto di tutele e di diritti è costretto ad accettare per sopravvivere. È così che si spiega il ritorno della retorica del ‘prima gli italiani’ e della razza’: uno stratagemma per abbassare il costo del lavoro e per ridurre drasticamente la distanza legittima tra lavoro e sfruttamento. La domanda che dobbiamo porci è radicale: può esistere un capitalismo non razzista?”.

“Siamo in un’era di individualismo ma serve una indignazione generale. Il senso di ricerca individuale andrebbe declinato in una dimensione collettiva, la felicità va ricercata in una prospettiva collettiva” ha detto ancora Soumahoro. L’attivista sindacale ha spiegato come il modello economico attuale massimizzi i profitti ma consideri le persone come numeri.

Vincenza Pellegrino ha parlato del suo libro, Futuri possibili, e dei Future Lab. In questi modelli di progettazione sociale, gruppi di persone si incontrano per discutere di come sarà il futuro fra tre/quattrocento anni se continuassimo in queste condizioni. Il mondo rischia di diventare insostenibile dal punto di vista ecologico e sociale. Si pensa poi al futuro ribaltato e da ciò nasce l’idea di organizzazioni diverse da quelle di oggi.

“Siamo orfani di ideologie – ha detto la professoressa – la middle class occidentale pensa ormai che l’idealità non possa realizzarsi. Stiamo scivolando in una depressione collettiva”.

Nei secoli passati si pensava all’aldilà ma la modernità ha trascinato il futuro in terra. Vincenza Pellegrino ha spiegato come oggi si premia solo ciò che è produttivo nel presente. Dapprima il progresso ha mobilitato le nuove generazioni e la crescita economica ha portato anche ad una ascesa sociale costante. Ma la natura ha detto ‘no’ alla crescita infinita, basata tra l’altro sull’esclusione dell’altro. Alla fine del Novecento è finito il mito dell’ascesa individuale collettiva ma non è nato, almeno per le generazioni già presenti, un altro sogno di miglioramento.

Non ci accorgiamo che la produzione di ricchezza non viene più dalla costruzione di cose materiali ma dai dati (Google, Facebook, Twitter): “siamo diventati lavoratori gratuiti, vittime della ‘cronofagia dell’ipercapitalismo’”.

Anche Soumahoro è intervenuto sul tema del capitalismo digitale e finanziario che “agisce senza rispondere più a nessuno”. Le relazioni sociali e la possibilità di riscatto sono state erose.

Come attivista sindacale ha ricordato che è necessario migliorare le condizioni di lavoro creando un’alleanza con il cittadino-consumatore. Se il prezzo di un prodotto è troppo basso, vuol dire mancanza di diritti di lavoratori. Un maquillage linguistico ha nascosto condizioni di lavoro arcaiche.

Il lavoro salariato vive anche di socialità perché i grandi giganti economici sono in tutto il mondo e la condizione di isolamento del lavoratore autonomo crea solitudini parallele. “La felicità non è capitalizzazione del profitto – ha detto Soumahoro – non basta più rifugiarsi nel mondo virtuale. Oggi c’è anche una povertà cognitiva oltre che materiale. Ma dobbiamo lavorare per il diritto alla felicità collettiva. Purtroppo ci sono generazioni a cui viene impedito di sognare.”.

Anche per Pellegrino occorre socializzare lo sfruttamento: “si lavora sempre più in cambio di sempre meno. Il capitale si organizza per fare ricchezza senza remunerare il lavoro”.

Ma nei giovani la docente ha visto che c’è la richiesta di senso, di direzione sociale e di nuovi desideri di utopia.